28 luglio 2012

Meritocrazia, I love you 2 (venditori di fumo)


....Esiste anche un interessante problema di prospettiva. Chi ha avuto successo tende a pensare che il modo con cui l’ha ottenuto sia merito. E perciò che meritocrazia voglia dire premiare e promuovere i suoi simili. Michael Young stesso ha espresso nel 2001 sul Guardian tutto il suo disappunto verso quella che chiamava la business meritocracy: “Se i meritocratici credono che l’avanzamento derivi dai loro meriti”, scriveva Young, “penseranno di meritare tutto quello che possono ottenere”. Illusione che viene rinforzata dalla moltitudine di cortigiani, seguaci e profittatori di cui spesso sono circondati. Il risultato é la formazione di una nuova classe sociale, una nuova élite moralmente autolegittimata. Insomma il concetto di “meritocrazia” è discutibile, e può essere interpretato in modi molto diversi. Quello che sorprende è che, nato come perplessità, si sia poi diffuso in senso decisamente positivo. Roger Abravanel nel suo famoso libro "Meritocrazia" (musa ispiratrice delle meraviglie dell'ex ministro dell'istruzione che evito per decenza di nominare) definisce la meritocrazia come “un sistema di valori che valorizza l’eccellenza indipendentemente dalla provenienza”. L’assunto di partenza è che in un sistema meritocratico lo stato non abbia bisogno di intervenire e garantire le stesse opportunità, poiché il successo dei migliori è garantito automaticamente dalla competitività del sistema. I fautori del pensiero meritocratico all’italiana (e sostenitori probabilmente inconsapevoli delle tesi di Abravanel) sono certi che eccellenza e competitività siano l’antidoto all’iniquità del sistema italiano e il meccanismo per garantire giustizia sociale. Questo equivale ad affermare che pur di assicurare l'avanzamento dei migliori si é disposti a sacrificare l'equitá dell'intero sistema che tradotto nel linguaggio politico italiano significa mantenere il pieno controllo delle nomine piú prestigiose (attraverso criteri meritocratici del tutto personali e stabiliti di volta in volta a seconda dei candidati) a scapito della trasparenza. In poche parole, il fine giustifica i mezzi. Siamo quindi giunti al fatidico interrogativo: “Cos’è più importante l’uguaglianza delle opportunità o il risultato finale?
Questa interpretazione della meritocrazia infatti, non affronta le contraddizioni tra garantire il ‘meglio per i migliori’ e provvedere al ‘meglio per tutti’. La cosiddetta ‘Riforma Gelmini’, prodotto della consulenza diretta di Abravanel, fa ampio riferimento alla cultura del merito e istituisce con l’articolo 4 un "fondo di merito". Tale fondo, dedicato agli studenti più meritevoli, è alimentato da privati, ma anche da risorse statali provenienti dal diritto allo studio. Scrive Friedrick Hayek premio Nobel per l'economia nel 1974: “i premi che una società libera offre per i risultati conseguiti servono a dire a chi lotta per essi quali sforzi valga la pena di fare. Tuttavia, gli stessi premi andranno a chiunque produca gli stessi risultati, senza tener conto dello sforzo” (e di come vengano ottenuti i risultati). I teorici moderni della giustizia hanno sempre diffidato del criterio del merito se usato per distribuire risorse. Non perché pensano che ad essere assunto in un ospedale non debba essere un bravo medico, ma perché mettono in guardia dallo scambiare l’effetto con la causa: è l´eguaglianza di trattamento e di opportunità il principio che deve governare la giustizia non il merito, il quale semmai è una conseguenza di un ordine sociale giusto. Per non essere privilegio truffaldino, il merito deve sprigionare da una società nella quale a tutti dovrebbe essere concessa un’eguale possibilità di formarsi competenze e accedere ai beni primari (diritti civili e diritti sociali essenziali) per poter partecipare alla gara della vita. Continua....

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